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Il riallestimento delle sale di Iti e Neferu e di Ahmose
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Dal lunedì al sabato dalle ore 9:00 alle 18:30
E' visitabile da oggi, 8 luglio 2025, il riallestimento della sala di Iti e Neferu e della saletta dedicata alla Principessa Ahmose, grazie all' importante lavoro di studio e ricerca dei curatori del Museo Beppe Moiso, Enrico Ferraris e Cinzia Soddu e alla progettazione espositiva di Enrico Barbero e Piera Luisolo.
Due le novità assolute dei riallestimenti: il ritrovamento di una pittura appartenente al ciclo decorativo della tomba di Iti e Neferu, nei depositi del Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università di Torino, durante un riscontro inventariale, e i calzari in cuoio della Principessa Ahmose, risalenti alla XVIII dinastia, per la prima volta esposti al pubblico, dopo un delicato lavoro di restauro.

La sala dedicata alla ricostruzione della tomba di Iti e Neferu in Museo, è stata rivista architettonicamente, sulla base di una serie di studi condotti sulla struttura della tomba, sui suoi 14 pilastri, attraverso il parallelo con altre tombe del periodo e sulla base di fotografie scattate dallo stesso Schiaparelli.
Delle 36 pitture originariamente staccate dalla tomba e arrivate a Torino nel 1924, dopo un lungo restauro a Firenze, ne furono esposte in museo 29. Una delle
7 mancanti è riemersa recentemente dai depositi del Museo di Antropologia ed Etnografia di Torino e attualmente è ancora oggetto di un delicato lavoro di restauro mentre le altre, andate perdute, ci sono note solo attraverso fotografie di archivio. L’intero corpus delle pitture è tuttavia visibile nell’archivio storico fotografico online dell’Egizio.
Il nuovo allestimento della tomba di Iti e Neferu non è soltanto un aggiornamento espositivo, ma anche un modo per restituire al pubblico una pagina fondamentale della storia del Museo e dell’archeologia italiana, legata alla campagna di scavo del 1911 a Gebelein, condotta da Virginio Rosa, giovane chimico e botanico, in procinto di diventare egittologo.

La saletta dedicata alla Principessa Ahmose, accanto a quella di Nefertari, è stata riallestita secondo una logica narrativa che mette al centro il ruolo
dell’archeologo e l’importanza della documentazione d’archivio e delle scienze della conservazione.
Il nucleo narrativo si concentra sui reperti recuperati dai depositi: i calzari in cuoio della principessa, restaurati da Francesca Gaia Maiocchi e Giulia Pallottini, restauratrici del Museo, un frammento di tessuto su cui poggiavano i monili della principessa. L’interpretazione di oggetti frammentari è affidata ai disegni ricostruttivi del curatore Paolo Marini, che rendono leggibili reperti altrimenti difficili da comprendere e illustrano al pubblico il processo di ricostruzione e lettura archeologica.
Il tema dell’esposizione dei resti umani è da tempo oggetto di un’attenta riflessione da parte del Museo, che negli ultimi dieci anni ha affrontato questa questione con particolare sensibilità. Nel caso del riallestimento dei resti di Ahmose, il Museo ha scelto una soluzione innovativa e rispettosa che garantisce la conservazione ottimale e una presentazione rispettosa del reperto.
Le pareti delle vetrine dedicate ad Ahmose, a Nebiry e alla tomba denominata Queens’ Valley 39 riportano l’indicazione delle tombe di provenienza, inserite in una mappa della Valle delle Regine, che restituisce unità e contesto agli scavi condotti da Schiaparelli in quella zona. Il racconto si articola attraverso nuovi testi, apparati grafici, e ricostruzioni visive che aiutano a comprendere le caratteristiche di queste sepolture.
La frammentarietà di alcuni oggetti è trasformata in un’opportunità di racconto minuzioso, offrendo al pubblico uno sguardo ravvicinato e consapevole sul lavoro dell’archeologo, sull’importanza della conservazione e sulla capacità del museo di rinnovarsi attraverso la ricerca.

Clicca QUI per acquistare il tuo biglietto e visitare i nuovi allestimenti
Due le novità assolute dei riallestimenti: il ritrovamento di una pittura appartenente al ciclo decorativo della tomba di Iti e Neferu, nei depositi del Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università di Torino, durante un riscontro inventariale, e i calzari in cuoio della Principessa Ahmose, risalenti alla XVIII dinastia, per la prima volta esposti al pubblico, dopo un delicato lavoro di restauro.

La sala dedicata alla ricostruzione della tomba di Iti e Neferu in Museo, è stata rivista architettonicamente, sulla base di una serie di studi condotti sulla struttura della tomba, sui suoi 14 pilastri, attraverso il parallelo con altre tombe del periodo e sulla base di fotografie scattate dallo stesso Schiaparelli.
Delle 36 pitture originariamente staccate dalla tomba e arrivate a Torino nel 1924, dopo un lungo restauro a Firenze, ne furono esposte in museo 29. Una delle
7 mancanti è riemersa recentemente dai depositi del Museo di Antropologia ed Etnografia di Torino e attualmente è ancora oggetto di un delicato lavoro di restauro mentre le altre, andate perdute, ci sono note solo attraverso fotografie di archivio. L’intero corpus delle pitture è tuttavia visibile nell’archivio storico fotografico online dell’Egizio.
Il nuovo allestimento della tomba di Iti e Neferu non è soltanto un aggiornamento espositivo, ma anche un modo per restituire al pubblico una pagina fondamentale della storia del Museo e dell’archeologia italiana, legata alla campagna di scavo del 1911 a Gebelein, condotta da Virginio Rosa, giovane chimico e botanico, in procinto di diventare egittologo.

La saletta dedicata alla Principessa Ahmose, accanto a quella di Nefertari, è stata riallestita secondo una logica narrativa che mette al centro il ruolo
dell’archeologo e l’importanza della documentazione d’archivio e delle scienze della conservazione.
Il nucleo narrativo si concentra sui reperti recuperati dai depositi: i calzari in cuoio della principessa, restaurati da Francesca Gaia Maiocchi e Giulia Pallottini, restauratrici del Museo, un frammento di tessuto su cui poggiavano i monili della principessa. L’interpretazione di oggetti frammentari è affidata ai disegni ricostruttivi del curatore Paolo Marini, che rendono leggibili reperti altrimenti difficili da comprendere e illustrano al pubblico il processo di ricostruzione e lettura archeologica.
Il tema dell’esposizione dei resti umani è da tempo oggetto di un’attenta riflessione da parte del Museo, che negli ultimi dieci anni ha affrontato questa questione con particolare sensibilità. Nel caso del riallestimento dei resti di Ahmose, il Museo ha scelto una soluzione innovativa e rispettosa che garantisce la conservazione ottimale e una presentazione rispettosa del reperto.
Le pareti delle vetrine dedicate ad Ahmose, a Nebiry e alla tomba denominata Queens’ Valley 39 riportano l’indicazione delle tombe di provenienza, inserite in una mappa della Valle delle Regine, che restituisce unità e contesto agli scavi condotti da Schiaparelli in quella zona. Il racconto si articola attraverso nuovi testi, apparati grafici, e ricostruzioni visive che aiutano a comprendere le caratteristiche di queste sepolture.
La frammentarietà di alcuni oggetti è trasformata in un’opportunità di racconto minuzioso, offrendo al pubblico uno sguardo ravvicinato e consapevole sul lavoro dell’archeologo, sull’importanza della conservazione e sulla capacità del museo di rinnovarsi attraverso la ricerca.

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Dal lunedì al sabato dalle ore 9:00 alle 18:30