Attività di ricerca
I diari di Scavo 2025 – seconda settimana
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Saqqara in frammenti: la ceramica racconta
Siamo già alla seconda settimana di missione, e la routine dello scavo è ormai diventata parte di noi.
Il pulmino si allontana veloce, sollevando una nuvola di polvere e sabbia, mentre restiamo a sud della piramide di Djoser, a pochi passi dall’area che stiamo esplorando. L’aria del mattino è ancora fresca: stretti nelle giacche a vento e avvolti nelle sciarpe, sistemiamo gli zaini sulle spalle e ci incamminiamo verso il cantiere. Sono le 07:00 precise.
I nostri collaboratori egiziani sono già arrivati, il rais Mohammed ci vede e ci accoglie con un sorriso. Tra una stretta di mano e l’altra, ci si augura il buongiorno: sabāh el-kheir, a cui risponde un melodioso sabāh el-nur – “buongiorno di luce”. E la luce, in effetti, sta davvero arrivando. Intorno a noi, il sole comincia a risalire l’orizzonte, scaldando lentamente la sabbia; l’aria si riempie di una vibrazione sottile – quella di un luogo che, giorno dopo giorno, torna a raccontare la propria storia.

[Figura 1: la squadra di scavo al lavoro, con a sinistra il rais Mohammed. Foto: Nicola Dell’Aquila.]
Nell’ultima settimana abbiamo proseguito il lavoro nell’area della tomba di Panehsy, concentrandoci in particolare sul lato ovest, per comprenderne meglio il perimetro esterno. Parallelamente, continuano le attività nel pozzo della tomba, già parzialmente scavato durante la precedente missione. Ci troviamo ora nella parte più profonda, che stiamo liberando con attenzione per poterla documentare successivamente attraverso la modellazione 3D.

[Figura 2: Nico Staring a sinistra documenta il pozzo con l’aiuto di Walid Khaled (a destra) e Mustafa Said Mohammed (sul fondo della foto). Foto: Nicola Dell’Aquila.]
Lo scavo procede in modo stratigrafico: negli strati superficiali incontriamo tracce della nostra epoca o di poco precedenti. Pensate, abbiamo persino ritrovato vecchie pagine di giornale con la data stampata sopra! Solo scendendo sempre più in profondità riusciremo ad arrivare al periodo storico a cui appartiene la tomba di Panehsy: il Nuovo Regno (1539-1077 a.C.). È un processo lungo e certosino, bisogna registrare ogni informazione possibile. Strato dopo strato, tra la sabbia cominciano ad affiorare piccoli frammenti di ceramica: orli, anse, fondi, pareti. Sono i primi segnali che il sito è pronto a restituirci le sue storie.
Quando un frammento viene raccolto, il suo viaggio non è affatto concluso – anzi, ricomincia proprio allora. Ogni zambil – ceste fatte con vecchi pneumatici – che lascia l’area di scavo, carico di ceramica, porta con sé il numero dell’unità stratigrafica in cui i frammenti sono stati ritrovati, l’anno dello scavo, le coordinate e qualche appunto scritto sul taccuino. Le ceste vengono trasportate nel cortile della tomba di Horemheb, dove inizia il lavoro di lavaggio dei frammenti. L’acqua rimuove la sabbia, rivela le superfici, i segni lasciati dal tornio o dalle dita del vasaio. L’asciugatura avviene al sole. Poco alla volta, le stuoie si riempiono di cocci puliti, è arrivato il momento del sorting: la selezione, la divisione, l’osservazione.

[Figura 3-4: Valentina Gasperini a sinistra mentre registra dei ritrovamenti ceramici, a destra mentre osserva l’impasto di un’anfora. Foto: Nicola Dell’Aquila]
Con gesti ormai automatici, si separano i pezzi di pareti da quelli diagnostici (ovvero orli, anse, fondi – è da questi frammenti che si può ricostruire la forma intera di un vaso), si riconoscono gli impasti, si cercano frammenti che attaccano tra loro e si annotano le prime impressioni. Segue la schedatura per i frammenti particolarmente parlanti di cui si esegue anche il disegno. Il disegno ceramico è una fase fondamentale del lavoro archeologico, perché permette di restituire in modo preciso e leggibile la forma originaria dei frammenti e dei vasi. Attraverso il disegno, ogni dettaglio – come lo spessore delle pareti, la curvatura di un orlo o la decorazione – viene rappresentato in scala e con un linguaggio grafico standardizzato, così da poter essere confrontato con altri reperti.
È il primo passo per trasformare un mucchio di cocci in dati scientifici.

[Figura 5: Divina Centore disegna il profilo di un frammento. Nella foto usa un calibro per registrare lo spessore. Foto: Nicola Dell’Aquila]
Accanto, le restauratrici ricompongono i frammenti che attaccano tra loro utilizzando una resina vinilica. È fondamentale controllare che combacino perfettamente e restino nella giusta posizione durante l’asciugatura. Non devono crearsi dislivelli: solo così possiamo restituire al vaso la sua integrità e la sua visibilità originaria.

[Figura 6: Sara Aicardi impegnata nel restauro di un vaso. Foto: Nicola Dell’Aquila]
La ceramica è il “fossile guida” dello scavo archeologico, un materiale che accompagna l’uomo da sempre e che, proprio per la sua diffusione e varietà, permette di riconoscere cronologie, funzioni e contesti. Analizzando impasti, forme e decorazioni, possiamo comprendere non solo quando un ambiente è stato frequentato, ma anche come veniva vissuto: dalle attività quotidiane ai rituali templari. Provate ad aprire le vostre credenze a casa, avete anche voi dei piatti in ceramica? Che cosa potrebbero raccontare di voi e delle vostre abitudini?
Ci vediamo al prossimo diario!
Siamo già alla seconda settimana di missione, e la routine dello scavo è ormai diventata parte di noi.
Il pulmino si allontana veloce, sollevando una nuvola di polvere e sabbia, mentre restiamo a sud della piramide di Djoser, a pochi passi dall’area che stiamo esplorando. L’aria del mattino è ancora fresca: stretti nelle giacche a vento e avvolti nelle sciarpe, sistemiamo gli zaini sulle spalle e ci incamminiamo verso il cantiere. Sono le 07:00 precise.
I nostri collaboratori egiziani sono già arrivati, il rais Mohammed ci vede e ci accoglie con un sorriso. Tra una stretta di mano e l’altra, ci si augura il buongiorno: sabāh el-kheir, a cui risponde un melodioso sabāh el-nur – “buongiorno di luce”. E la luce, in effetti, sta davvero arrivando. Intorno a noi, il sole comincia a risalire l’orizzonte, scaldando lentamente la sabbia; l’aria si riempie di una vibrazione sottile – quella di un luogo che, giorno dopo giorno, torna a raccontare la propria storia.

[Figura 1: la squadra di scavo al lavoro, con a sinistra il rais Mohammed. Foto: Nicola Dell’Aquila.]
Nell’ultima settimana abbiamo proseguito il lavoro nell’area della tomba di Panehsy, concentrandoci in particolare sul lato ovest, per comprenderne meglio il perimetro esterno. Parallelamente, continuano le attività nel pozzo della tomba, già parzialmente scavato durante la precedente missione. Ci troviamo ora nella parte più profonda, che stiamo liberando con attenzione per poterla documentare successivamente attraverso la modellazione 3D.

[Figura 2: Nico Staring a sinistra documenta il pozzo con l’aiuto di Walid Khaled (a destra) e Mustafa Said Mohammed (sul fondo della foto). Foto: Nicola Dell’Aquila.]
Lo scavo procede in modo stratigrafico: negli strati superficiali incontriamo tracce della nostra epoca o di poco precedenti. Pensate, abbiamo persino ritrovato vecchie pagine di giornale con la data stampata sopra! Solo scendendo sempre più in profondità riusciremo ad arrivare al periodo storico a cui appartiene la tomba di Panehsy: il Nuovo Regno (1539-1077 a.C.). È un processo lungo e certosino, bisogna registrare ogni informazione possibile. Strato dopo strato, tra la sabbia cominciano ad affiorare piccoli frammenti di ceramica: orli, anse, fondi, pareti. Sono i primi segnali che il sito è pronto a restituirci le sue storie.
Quando un frammento viene raccolto, il suo viaggio non è affatto concluso – anzi, ricomincia proprio allora. Ogni zambil – ceste fatte con vecchi pneumatici – che lascia l’area di scavo, carico di ceramica, porta con sé il numero dell’unità stratigrafica in cui i frammenti sono stati ritrovati, l’anno dello scavo, le coordinate e qualche appunto scritto sul taccuino. Le ceste vengono trasportate nel cortile della tomba di Horemheb, dove inizia il lavoro di lavaggio dei frammenti. L’acqua rimuove la sabbia, rivela le superfici, i segni lasciati dal tornio o dalle dita del vasaio. L’asciugatura avviene al sole. Poco alla volta, le stuoie si riempiono di cocci puliti, è arrivato il momento del sorting: la selezione, la divisione, l’osservazione.

[Figura 3-4: Valentina Gasperini a sinistra mentre registra dei ritrovamenti ceramici, a destra mentre osserva l’impasto di un’anfora. Foto: Nicola Dell’Aquila]
Con gesti ormai automatici, si separano i pezzi di pareti da quelli diagnostici (ovvero orli, anse, fondi – è da questi frammenti che si può ricostruire la forma intera di un vaso), si riconoscono gli impasti, si cercano frammenti che attaccano tra loro e si annotano le prime impressioni. Segue la schedatura per i frammenti particolarmente parlanti di cui si esegue anche il disegno. Il disegno ceramico è una fase fondamentale del lavoro archeologico, perché permette di restituire in modo preciso e leggibile la forma originaria dei frammenti e dei vasi. Attraverso il disegno, ogni dettaglio – come lo spessore delle pareti, la curvatura di un orlo o la decorazione – viene rappresentato in scala e con un linguaggio grafico standardizzato, così da poter essere confrontato con altri reperti.
È il primo passo per trasformare un mucchio di cocci in dati scientifici.

[Figura 5: Divina Centore disegna il profilo di un frammento. Nella foto usa un calibro per registrare lo spessore. Foto: Nicola Dell’Aquila]
Accanto, le restauratrici ricompongono i frammenti che attaccano tra loro utilizzando una resina vinilica. È fondamentale controllare che combacino perfettamente e restino nella giusta posizione durante l’asciugatura. Non devono crearsi dislivelli: solo così possiamo restituire al vaso la sua integrità e la sua visibilità originaria.

[Figura 6: Sara Aicardi impegnata nel restauro di un vaso. Foto: Nicola Dell’Aquila]
La ceramica è il “fossile guida” dello scavo archeologico, un materiale che accompagna l’uomo da sempre e che, proprio per la sua diffusione e varietà, permette di riconoscere cronologie, funzioni e contesti. Analizzando impasti, forme e decorazioni, possiamo comprendere non solo quando un ambiente è stato frequentato, ma anche come veniva vissuto: dalle attività quotidiane ai rituali templari. Provate ad aprire le vostre credenze a casa, avete anche voi dei piatti in ceramica? Che cosa potrebbero raccontare di voi e delle vostre abitudini?
Ci vediamo al prossimo diario!
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Dal lunedì al sabato dalle ore 9:00 alle 18:00