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I diari di Scavo 2025 – terza settimana

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La fotografia sullo scavo: dallo scatto al dato 

Il tempo sta cambiando in questi giorni a Saqqara: la luce arriva più in fretta, e le giornate si fanno stranamente più calde, quasi afose. È insolito per questo periodo dell’anno – l’aria dovrebbe rinfrescarsi -, e il lavoro sul sito diventa più impegnativo, la sabbia più calda, l’aria più densa.

Eppure, ogni mattina non possiamo che meravigliarci davanti allo spettacolo dell’alba: il cielo si reinventa di giorno in giorno, ora acceso di tonalità vibranti, ora velato da sfumature più tenui, quasi pastello. È un momento che riempie gli occhi e il cuore. Lo confessiamo: appena scesi dal pullmino rubiamo sempre qualche minuto al lavoro per osservare la luce che illumina le piramidi di Dahshur. 


Figura 1: le piramidi di Dahshur all’alba. Foto: Nicola Dell’Aquila


 

Siamo ormai quasi alla fine della missione: la quarta settimana sarà l’ultima, ma questo non deve portare ansia o fretta. Il lavoro continua a procedere con precisione e attenzione, come sempre, strato dopo strato. 

L’indagine intorno al perimetro ovest della tomba di Panehsy si è al momento fermata: è emerso un nuovo muro di una struttura ancora da identificare, ma il tempo a disposizione è troppo poco per approfondire. Continueremo l’anno prossimo, inshallah. Ora la nostra attenzione si è spostata a est della tomba di Panhesy, nella zona della cappella di Yuyu, artigiano specializzato nella produzione di foglie d’oro per il tesoro reale. La struttura, sebbene di piccole dimensioni, è decorata con straordinaria finezza e raffigura scene di una processione funeraria, la rinascita del defunto e la venerazione della dea Hathor sotto forma di vacca e della barca del dio Sokar. 


Figura 2: Corinna Rossi e Alessandro Mandelli realizzano il modello tridimensionale della cappella di Yuyu. Foto: Nicola Dell’Aquila


 

Proprio accanto a questa cappella, nella sezione creata due anni fa, si intravede un piccolo muretto. Potrebbe delimitare un ambiente ancora sconosciuto, un’ulteriore stanza del complesso di Yuyu? Per scoprirlo, stiamo rimuovendo con cautela gli strati superficiali - gli stessi che risalgono agli scavi degli anni ’80 - per raggiungere lentamente i livelli tardo-antichi e allinearci poi alla quota della cappella. Come sempre, si parte dall’alto e si segue la stratigrafia, lasciando che sia il terreno a raccontare la sua storia. 

Nel frattempo, l’indagine nel pozzo di Panehsy si è conclusa, è stato completamente svuotato. E questo significa solo una cosa: è il momento di documentare tutta la struttura, superficiale e sotterranea. È qui che entra in gioco la fotogrammetria: una tecnica che trasforma le immagini in modelli tridimensionali, unendo il gesto fotografico alla precisione del rilievo topografico. 



Figura 3-4: A sinistra Alessandro Mandelli, Mohsen Ibrahim Saad e Walid Khaled e a destra Andrea Pasqui mentre accedono al pozzo della tomba di Panehsy. Foto: Alessandro Mandelli

 

Con un’attenta sequenza di scatti - eseguiti a diverse altezze, inclinazioni e punti di vista - si crea un archivio di immagini sovrapponibili. Il software le elabora, ne calcola le coordinate spaziali e restituisce un modello 3D accurato al millimetro. In questo modo possiamo “riportare a casa” la tomba, navigarla virtualmente, studiarne ogni dettaglio anche a distanza. La fotogrammetria diventa così una forma di memoria scientifica: un modo per non perdere anche la più piccola informazione. 

Ogni fotografia ha un valore fondamentale durante uno scavo archeologico: da un lato, le immagini conservano la memoria della vita quotidiana sullo scavo e delle persone che vi hanno preso parte; dall’altro, costituiscono una documentazione scientifica indispensabile per registrare i ritrovamenti, il loro stato di conservazione e per consentirne lo studio anche a distanza. Ad esempio, fotografare i rilievi di una tomba non significa solo conservarne l’immagine, ma anche poterli studiare e disegnare lontano dal sito - pur ricordando che un controllo finale “viso a viso” con il reperto rimane sempre necessario. La documentazione fotografica è dunque un lavoro essenziale, utile non solo alla ricerca sul sito, ma anche alla redazione di report e pubblicazioni scientifiche. 

Il lavoro del fotografo sul campo è anche un esercizio di pazienza e di inventiva. Per esempio, bisogna creare dal nulla un piccolo studio fotografico: trovare un piano stabile, regolare le luci, costruire un’ombra, scegliere lo sfondo giusto. Ogni dettaglio conta, perché da quella fotografia dipenderà la leggibilità del reperto. 



Figura 5-6: Nicola Dell’Aquila intento a fotografare dei reperti trovati nel corso dello scavo. Foto: Divina Centore

 

E il lavoro non finisce certo qui: una volta rientrati a casa, inizia la seconda parte del processo - la selezione, l’elaborazione, la calibrazione dei colori, l’archiviazione. È in questa fase che l’immagine si trasforma in dato, pronta per dialogare con i rilievi, i disegni e le schede di scavo. 

Perché solo ciò che viene documentato può continuare a raccontare la sua storia. 
 

Ci diamo appuntamento a venerdì, per l’ultimo capitolo dei Diari di Scavo 2025. 
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